Documento senza titolo

3a edizione
2011

Anteprima
2009

1a edizione
Luglio - Agosto 2007

Documento senza titolo
Le Sezioni

 Affinità

 Contaminazioni
 Vicinanze
Sede Espositiva
Aieta
Palazzo Rinascimentale
Gli Artisti
Ken Damy
Renato Corsini
Maurizio Frullani
Seamus Murphy
Sándor Dobos
Valeria Necchi
Serena Gallini
Javier Silva Meinel
Prabuddha Das Guphta
Sede Espositiva
Praia a Mare
Museo Comunale
Gli Artisti
Attilio Lauria
FIAF per ActionAid
Sede Espositiva
Verbicaro
Centro Ed.Ambientale
Gli Artisti
Lorenzo Merlo
Stefano Torrione
Valentina Renzi
Sede Espositiva
Grisolia
Palazzo Ducale
Gli Artisti
Atelier du Faux Semblant
Sede Espositiva
Santa Domenica Talao
Gli Artisti
Ken Damy
Sede Espositiva
Maierà
Gli Artisti
Not for all n° 3
Seamus MURPHY

A Darkness Visible: Afghanistan
(Un’oscurità visibile: Afghanistan)

La verità dell’Afghanistan è custodita dal popolo afgano e Seamus Murphy gli riconosce tutta la sua magnificenza. Dopo l’opera diligente e suggestiva perseguita per così tanti anni per giungere al cuore della faccenda, Murphy non si lascia scoraggiare dalla guerra in Afghanistan. Non può farlo. La guerra fa parte integrante dell’esperienza afgana proprio come le stagioni, le montagne e il tempo. Questo paese è la terra natale di milioni di racconti di guerra che, fondendosi alla storia, vengono a costituire una lunga saga. Ma i racconti di guerra non sono altro che la storia della gente o dei popoli, dei loro fallimenti, punti deboli e punti forti e della loro lotta per continuare a vivere e mantenere la propria dignità di fronte alle sfide estreme poste dal conflitto. Murphy lo sa. E capisce perfettamente. L’umanità essenziale di questa consapevolezza, associata al suo naturale impegno sull’argomento, si riflette in tutta la sua opera. Nelle sue foto gli afgani appaiono sempre superiori a quella parte della loro vita che è la guerra.

Di recente l’Afghanistan è diventato un soggetto di grande attualità per gli editori che si interessano di fotografia e il rispettivo pubblico. Gli attentati terroristici dell’11 settembre hanno riportato questo paese alla ribalta della consapevolezza occidentale. Il successivo coinvolgimento degli eserciti degli alleati e della NATO in Afghanistan, la lotta contro Al Qaeda e i Talebani e la caccia ad Osama Osama bin Laden garantiscono che tale interesse possa continuare, almeno per un po’. Il destino dell’Afghanistan è ormai legato alla sicurezza futura della gente in Europa e America. Nei paesi occidentali, i leader politici e i capi militari ammettono candidamente che questo conflitto sarà un’esperienza decisiva che determinerà sia il risultato della guerra con i fondamentalisti islamici di tutto il mondo sia la sorte della stessa NATO. Ci sono tutti gli ingredienti per fare di questo paese una meta ambita dai fotografi. Ma non è sempre stato così.

Ben poco lasciava pensare che ci sarebbero stati tali sviluppi nella guerra afgana quando Murphy ha messo piede a Kabul per la prima volta. Era il 1994. L’Afghanistan era in preda a una guerra civile talmente violenta ed estesa che tutte le infrastrutture del paese erano implose. Assolutamente distrutta, annichilita e rovinata, l’autorità centrale non c’era più. Vigeva invece il potere delle armi e di chi le imbracciava. Niente lasciava presagire che ci potessero essere cambiamenti imminenti. Il coinvolgimento degli Occidentali in Afghanistan era finito nel momento in cui l’ultimo soldato russo aveva lasciato il paese, ben cinque anni prima. Era una voragine, il vuoto, il buio. E nessuno avrebbe potuto immaginare che un giorno le vite quotidiane degli afgani potessero di nuovo interessare agli Occidentali.


Murphy ha continuato il suo andirivieni dall’Afghanistan, molto prima che il paese tornasse a essere al centro della rinnovata attenzione degli editori, per motivi molto più semplici dell’investimento professionale. Nonostante la vita dura, la sfortuna e le crudeltà, a Murphy piaceva quel posto e provava empatia per il suo popolo: apprezzava negli afgani le qualità di stoicismo, capacità di opporsi, belligeranza, senso dell’umorismo e speranza che li caratterizzano.

Nel corso di innumerevoli avventure intraprese nell’arco di 13 anni per portare alla luce l’indomito Afghanistan, sia umano che geografico, Murphy ha infranto la visione miope che si aveva di questo paese per rivelare i luoghi e i volti della gente, una guerra e una vita che altrimenti non avremmo mai avuto occasione di scoprire. Alcuni viaggi nell’entroterra sono durati solo pochi giorni. Altri hanno comportato settimane di trekking, spostamenti, rafting e cavalcate in condizioni spartane.

L’oscurità dell’Afghanistan non sta nel male o nella guerra, ma nel manto dell’ignoranza che avvolge la nostra comprensione di questo paese, una cecità che lo ha ridotto a poco più di uno sfondo per statistiche stantie, immagini trite e ritrite e frasi fatte su cui poggiano le fuggevoli notizie della stampa mondiale.

Pochi hanno cercato – e ancor meno sono riusciti a raggiungere il risultato che Murphy ha perseguito con la sua pazienza e persistente volontà di raggiungere lo scopo. Molto più di un’abile testimonianza di un popolo, un’epoca e un luogo, la sua opera ha aperto la strada a qualcosa di più profondo ed etereo ed è riuscita a cogliere la più difficile di tutte le rivelazioni: lo spirito di un paese.

Anthony Loyd da Afterword in A Darkness Visible: Afghanistan, Saqi Books 2008.

BIOGRAFIA
Seamus Murphy,
nato il 1° ottobre 1959 in Inghilterra, è cresciuto a Dublino in Irlanda. Ha frequentato Rathmines, specializzandosi in comunicazioni e cinematografia. Dopo una serie di lavori, da telegiornali via cavo negli Stati Uniti a video commerciali in Inghilterra, nel 1990 Murphy ha cominciato la carriera di fotogiornalista freelance e ha lavorato come fotoreporter in Africa (Eritrea, Ruanda, Gabon, conflitto nella Sierra Leone, epidemia Ebola in Uganda, carestia in Etiopia), Asia (ribelli maoisti in Nepal, giovani a Teheran, Iraq-Kurdistan prima della guerra in Iraq, Afghanistan), Europa (Albania e Kosovo). Le sue foto sono comparse in varie pubblicazioni tra cui The New York Times, Sports Illustrated, Newsweek, Time e Der Spiegel.
A Murphy sono stati insigniti diversi premi per le sue opere. Le sue foto sulle corse di cavalli di Beirut in Libano hanno vinto il primo premio del World Press Photo 1999 e si sono assicurate il terzo posto, nella categoria storia delle immagini sportive, durante il concorso Foto dell’Anno 1999 indetto dalla Missouri School of Journalism. Anche Life Magazine ha riconosciuto il valore del progetto di Beirut con il premio Best Magazine Photography of the Year. Murphy si è aggiudicato anche il secondo premio del World Press Photo 1999 con le foto dei veterani dell’IRA.
Nel 2008 ha pubblicato “A Darkness Visible: Afghanistan”.



A Darkness Visible: Afghanistan

The truth of Afghanistan lies in the Afghan people, and Seamus Murphy allows them their magnificence. In his diligent, evocative pursuit across so many years to reach this heart of the matter, Murphy does not shy away from Afghanistan's war. He can't. War is as enmeshed in the Afghan experience as the seasons, the mountains and weather. The country is home to millions of war tales, merging together with history into one long war story. But no war story is ever an account of anything more than a person or people, their failings, weaknesses and strengths, and their struggle to continue life and maintain dignity in the face of the extreme challenges posed by conflict. Murphy knows this. He understands it. And the essential humanity of this wisdom, combined with his natural engagement with his subject, is reflected throughout his work. In his photographs, Afghans are always greater than that part of their lives that is war.

Recently Afghanistan has become a subject of huge interest to picture editors and their audiences. The terrorist attacks of September 11th have brought the country to the forefront of Western consciousness. The subsequent involvement of coalition and NATO troops in Afghanistan, their fight with al Qaeda and the Taliban, and the hunt for Osama bin Laden ensure that interest continues, for the while. Afghanistan's destiny is now linked to the future security of lives in Europe and America. In the West political leaders and senior military commanders openly admit that the conflict there will be a defining experience in deciding both the outcome of their war with fundamentalist Islamic forces worldwide, and the very fate of NATO itself. Such implications make the country an obvious destination for a photographer. But it was not always so.

There was little suggestion of any such evolution in the Afghan war when Murphy first arrived in Kabul. It was 1994. Afghanistan was in the grip of a full-blown civil war so extensive and violent as to have imploded the nation's entire infrastructure. Utterly wracked, reduced and ruined, central authority no longer existed. Power lay instead in the gun and the mind of the man carrying it. There was no sense of any imminent change in the situation. The West's involvement with Afghanistan had ended the moment the last Russian soldier was withdrawn five years before. It was a hole, a vacuum, a darkness. And it was quite unimaginable how the everyday lives of the Afghans could ever again be of concern to the West.

Murphy kept returning to Afghanistan, so long before it became the focus of renewed attention or editorial appetite, for reasons far simpler than those of professional investment. For all its hardships, misfortunes and cruelties, he liked the place and empathized with its people, finding attractive in the Afghans the qualities of stoicism, contradiction, belligerence, humour and hope that so define them.

In countless ventures over 13 years to illuminate Afghanistan's wilderness, both human and geographic, Murphy has breached this myopic vision to reveal the places and faces of a people, a war and a life that we would otherwise never see. Some trips into the hinterland, have lasted just a few days. Others have involved weeks of Spartan trek, drive, raft and ride.

Afghanistan's darkness lies not in wrongdoing or war, but in the shroud of ignorance that cloaks our understanding of the country, a blindness that has reduced it to little more than a backdrop of stale statistics, hackneyed images and Great Game clichés, against which play the momentary news stories of the world's press.

The achievement of his enduring single-mindedness and patience is an account rarely attempted and seldom gained. Far greater than being just the skilled record of a people, time and place, his work has charted something much deeper and more ethereal, and has succeeded in rendering that most difficult of all revelations: a country's spirit.

Anthony Loyd from his Afterword in A Darkness Visible: Afghanistan, Saqi Books 2008.

BIOGRAPHY
Seamus Murphy
was born on October 1, 1959 in England, and raised in Dublin, Ireland. He attended Rathmines, specializing in communications and film. After a variety of jobs ranging from cable TV news in the U.S. to commercial films in England, Murphy began freelancing as a photojournalist in 1990 and worked as photoreporter in Africa (Eritrea, Rwanda, Gabon, Conflict in Sierra Leone, Ebola Outbreak in Uganda, Famine in Ethiopia), Asia (Maoist Rebels in Nepal, Youth in Tehran, Iraq Kurdistan-before the war in Iraq, Afganistan), Europe (Albania and Kosovo). His photographs have been published in a range of publications, including The New York Times, Sports Illustrated, Newsweek, Time and Der Spiegel.
Murphy has won numerous awards for his work. His photographs from the Beirut horse races in Lebanon won first prize in World Press Photo 1999 and third place, sports picture story, from the Picture of the Year contest, Missouri School of Journalism, 1999. Life Magazine also recognized his Beirut project, with a runner-up award for Best Magazine Photography of the Year. He also won second price, from World Press Photo, 1999, for his photographs of IRA veterans.
He published in 2008 the “A Darkness Visible: Afghanistan”.