A Darkness Visible:
Afghanistan
(Un’oscurità visibile: Afghanistan)
La verità dell’Afghanistan è
custodita dal popolo afgano e Seamus Murphy gli riconosce
tutta la sua magnificenza. Dopo l’opera diligente
e suggestiva perseguita per così tanti anni
per giungere al cuore della faccenda, Murphy non si
lascia scoraggiare dalla guerra in Afghanistan. Non
può farlo. La guerra fa parte integrante dell’esperienza
afgana proprio come le stagioni, le montagne e il
tempo. Questo paese è la terra natale di milioni
di racconti di guerra che, fondendosi alla storia,
vengono a costituire una lunga saga. Ma i racconti
di guerra non sono altro che la storia della gente
o dei popoli, dei loro fallimenti, punti deboli e
punti forti e della loro lotta per continuare a vivere
e mantenere la propria dignità di fronte alle
sfide estreme poste dal conflitto. Murphy lo sa. E
capisce perfettamente. L’umanità essenziale
di questa consapevolezza, associata al suo naturale
impegno sull’argomento, si riflette in tutta
la sua opera. Nelle sue foto gli afgani appaiono sempre
superiori a quella parte della loro vita che è
la guerra.
Di recente l’Afghanistan è diventato
un soggetto di grande attualità per gli editori
che si interessano di fotografia e il rispettivo pubblico.
Gli attentati terroristici dell’11 settembre
hanno riportato questo paese alla ribalta della consapevolezza
occidentale. Il successivo coinvolgimento degli eserciti
degli alleati e della NATO in Afghanistan, la lotta
contro Al Qaeda e i Talebani e la caccia ad Osama
Osama bin Laden garantiscono che tale interesse possa
continuare, almeno per un po’. Il destino dell’Afghanistan
è ormai legato alla sicurezza futura della
gente in Europa e America. Nei paesi occidentali,
i leader politici e i capi militari ammettono candidamente
che questo conflitto sarà un’esperienza
decisiva che determinerà sia il risultato della
guerra con i fondamentalisti islamici di tutto il
mondo sia la sorte della stessa NATO. Ci sono tutti
gli ingredienti per fare di questo paese una meta
ambita dai fotografi. Ma non è sempre stato
così.
Ben poco lasciava pensare che ci sarebbero stati
tali sviluppi nella guerra afgana quando Murphy ha
messo piede a Kabul per la prima volta. Era il 1994.
L’Afghanistan era in preda a una guerra civile
talmente violenta ed estesa che tutte le infrastrutture
del paese erano implose. Assolutamente distrutta,
annichilita e rovinata, l’autorità centrale
non c’era più. Vigeva invece il potere
delle armi e di chi le imbracciava. Niente lasciava
presagire che ci potessero essere cambiamenti imminenti.
Il coinvolgimento degli Occidentali in Afghanistan
era finito nel momento in cui l’ultimo soldato
russo aveva lasciato il paese, ben cinque anni prima.
Era una voragine, il vuoto, il buio. E nessuno avrebbe
potuto immaginare che un giorno le vite quotidiane
degli afgani potessero di nuovo interessare agli Occidentali.
Murphy ha continuato il suo andirivieni dall’Afghanistan,
molto prima che il paese tornasse a essere al centro
della rinnovata attenzione degli editori, per motivi
molto più semplici dell’investimento
professionale. Nonostante la vita dura, la sfortuna
e le crudeltà, a Murphy piaceva quel posto
e provava empatia per il suo popolo: apprezzava negli
afgani le qualità di stoicismo, capacità
di opporsi, belligeranza, senso dell’umorismo
e speranza che li caratterizzano.
Nel corso di innumerevoli avventure intraprese nell’arco
di 13 anni per portare alla luce l’indomito
Afghanistan, sia umano che geografico, Murphy ha infranto
la visione miope che si aveva di questo paese per
rivelare i luoghi e i volti della gente, una guerra
e una vita che altrimenti non avremmo mai avuto occasione
di scoprire. Alcuni viaggi nell’entroterra sono
durati solo pochi giorni. Altri hanno comportato settimane
di trekking, spostamenti, rafting e cavalcate in condizioni
spartane.
L’oscurità dell’Afghanistan non
sta nel male o nella guerra, ma nel manto dell’ignoranza
che avvolge la nostra comprensione di questo paese,
una cecità che lo ha ridotto a poco più
di uno sfondo per statistiche stantie, immagini trite
e ritrite e frasi fatte su cui poggiano le fuggevoli
notizie della stampa mondiale.
Pochi hanno cercato – e ancor meno sono riusciti
a raggiungere il risultato che Murphy ha perseguito
con la sua pazienza e persistente volontà di
raggiungere lo scopo. Molto più di un’abile
testimonianza di un popolo, un’epoca e un luogo,
la sua opera ha aperto la strada a qualcosa di più
profondo ed etereo ed è riuscita a cogliere
la più difficile di tutte le rivelazioni: lo
spirito di un paese.
Anthony Loyd da Afterword in A Darkness Visible:
Afghanistan, Saqi Books 2008.
BIOGRAFIA
Seamus Murphy, nato il 1° ottobre 1959
in Inghilterra, è cresciuto a Dublino in Irlanda.
Ha frequentato Rathmines, specializzandosi in comunicazioni
e cinematografia. Dopo una serie di lavori, da telegiornali
via cavo negli Stati Uniti a video commerciali in
Inghilterra, nel 1990 Murphy ha cominciato la carriera
di fotogiornalista freelance e ha lavorato come fotoreporter
in Africa (Eritrea, Ruanda, Gabon, conflitto nella
Sierra Leone, epidemia Ebola in Uganda, carestia in
Etiopia), Asia (ribelli maoisti in Nepal, giovani
a Teheran, Iraq-Kurdistan prima della guerra in Iraq,
Afghanistan), Europa (Albania e Kosovo). Le sue foto
sono comparse in varie pubblicazioni tra cui The New
York Times, Sports Illustrated, Newsweek, Time e Der
Spiegel.
A Murphy sono stati insigniti diversi premi per le
sue opere. Le sue foto sulle corse di cavalli di Beirut
in Libano hanno vinto il primo premio del World Press
Photo 1999 e si sono assicurate il terzo posto, nella
categoria storia delle immagini sportive, durante
il concorso Foto dell’Anno 1999 indetto dalla
Missouri School of Journalism. Anche Life Magazine
ha riconosciuto il valore del progetto di Beirut con
il premio Best Magazine Photography of the Year. Murphy
si è aggiudicato anche il secondo premio del
World Press Photo 1999 con le foto dei veterani dell’IRA.
Nel 2008 ha pubblicato “A Darkness Visible:
Afghanistan”.
A Darkness Visible: Afghanistan
The truth of Afghanistan lies in the Afghan people,
and Seamus Murphy allows them their magnificence. In
his diligent, evocative pursuit across so many years
to reach this heart of the matter, Murphy does not shy
away from Afghanistan's war. He can't. War is as enmeshed
in the Afghan experience as the seasons, the mountains
and weather. The country is home to millions of war
tales, merging together with history into one long war
story. But no war story is ever an account of anything
more than a person or people, their failings, weaknesses
and strengths, and their struggle to continue life and
maintain dignity in the face of the extreme challenges
posed by conflict. Murphy knows this. He understands
it. And the essential humanity of this wisdom, combined
with his natural engagement with his subject, is reflected
throughout his work. In his photographs, Afghans are
always greater than that part of their lives that is
war.
Recently Afghanistan has become a subject of
huge interest to picture editors and their audiences.
The terrorist attacks of September 11th have brought
the country to the forefront of Western consciousness.
The subsequent involvement of coalition and NATO troops
in Afghanistan, their fight with al Qaeda and the
Taliban, and the hunt for Osama bin Laden ensure that
interest continues, for the while. Afghanistan's destiny
is now linked to the future security of lives in Europe
and America. In the West political leaders and senior
military commanders openly admit that the conflict
there will be a defining experience in deciding both
the outcome of their war with fundamentalist Islamic
forces worldwide, and the very fate of NATO itself.
Such implications make the country an obvious destination
for a photographer. But it was not always so.
There was little suggestion of any such evolution
in the Afghan war when Murphy first arrived in Kabul.
It was 1994. Afghanistan was in the grip of a full-blown
civil war so extensive and violent as to have imploded
the nation's entire infrastructure. Utterly wracked,
reduced and ruined, central authority no longer existed.
Power lay instead in the gun and the mind of the man
carrying it. There was no sense of any imminent change
in the situation. The West's involvement with Afghanistan
had ended the moment the last Russian soldier was
withdrawn five years before. It was a hole, a vacuum,
a darkness. And it was quite unimaginable how the
everyday lives of the Afghans could ever again be
of concern to the West.
Murphy kept returning to Afghanistan, so long before
it became the focus of renewed attention or editorial
appetite, for reasons far simpler than those of professional
investment. For all its hardships, misfortunes and
cruelties, he liked the place and empathized with
its people, finding attractive in the Afghans the
qualities of stoicism, contradiction, belligerence,
humour and hope that so define them.
In countless ventures over 13 years to illuminate
Afghanistan's wilderness, both human and geographic,
Murphy has breached this myopic vision to reveal the
places and faces of a people, a war and a life that
we would otherwise never see. Some trips into the
hinterland, have lasted just a few days. Others have
involved weeks of Spartan trek, drive, raft and ride.
Afghanistan's darkness lies not in wrongdoing or
war, but in the shroud of ignorance that cloaks our
understanding of the country, a blindness that has
reduced it to little more than a backdrop of stale
statistics, hackneyed images and Great Game clichés,
against which play the momentary news stories of the
world's press.
The achievement of his enduring single-mindedness
and patience is an account rarely attempted and seldom
gained. Far greater than being just the skilled record
of a people, time and place, his work has charted
something much deeper and more ethereal, and has succeeded
in rendering that most difficult of all revelations:
a country's spirit.
Anthony Loyd from his Afterword in A Darkness Visible:
Afghanistan, Saqi Books 2008.
BIOGRAPHY
Seamus Murphy was born on October 1, 1959
in England, and raised in Dublin, Ireland. He attended
Rathmines, specializing in communications and film.
After a variety of jobs ranging from cable TV news
in the U.S. to commercial films in England, Murphy
began freelancing as a photojournalist in 1990 and
worked as photoreporter in Africa (Eritrea, Rwanda,
Gabon, Conflict in Sierra Leone, Ebola Outbreak in
Uganda, Famine in Ethiopia), Asia (Maoist Rebels in
Nepal, Youth in Tehran, Iraq Kurdistan-before the
war in Iraq, Afganistan), Europe (Albania and Kosovo).
His photographs have been published in a range of
publications, including The New York Times, Sports
Illustrated, Newsweek, Time and Der Spiegel.
Murphy has won numerous awards for his work. His photographs
from the Beirut horse races in Lebanon won first prize
in World Press Photo 1999 and third place, sports
picture story, from the Picture of the Year contest,
Missouri School of Journalism, 1999. Life Magazine
also recognized his Beirut project, with a runner-up
award for Best Magazine Photography of the Year. He
also won second price, from World Press Photo, 1999,
for his photographs of IRA veterans.
He published in 2008 the “A Darkness Visible:
Afghanistan”.